Skip to main content

LA PRIGIONIA DI SAN TOMMASO

LA PRIGIONIA DI SAN TOMMASO

Seduto a terra, le mani sul volto, in preghiera. Nel suo cuore le parole e gli insegnamenti dei frati domenicani e nella mente gli scritti di Aristotele e Platone, che considerava dei maestri.

Nessuna disperazione, ma la ferma convinzione di un percorso di fede che aveva sposato per la vita quando si era imbattuto in quei predicatori a Napoli. Era il 1231. La sua esistenza era cambiata in quel preciso istante e non si tornava indietro. La grazia, quella grazia immortale che è stato dono e mistero, gli aveva fatto visita.

Seduto a terra, le mani sul volto, in preghiera. Nel suo cuore le parole e gli insegnamenti dei frati domenicani e nella mente gli scritti di Aristotele e Platone, che considerava dei maestri.

Nessuna disperazione, ma la ferma convinzione di un percorso di fede che aveva sposato per la vita quando si era imbattuto in quei predicatori a Napoli. Era il 1231. La sua esistenza era cambiata in quel preciso istante e non si tornava indietro. La grazia, quella grazia immortale che è stato dono e mistero, gli aveva fatto visita.

Tommaso rimase chiuso per due anni in quella cella del castello di Monte San Giovanni Campano. Dal 1244 al 1245. Pochi mesi prima era diventato un frate domenicano.

Il castello era della sua famiglia, i conti d’Aquino, che avrebbero voluto vederlo benedettino per poi diventare abate di Montecassino, seguendo le orme di suo zio, che lo era già stato. Potente, forte, influente. Capace con una parola di condizionare intere città. Per Tommaso il futuro era già stato scritto sin da quando era solo un bambino. I suoi studi erano stati indirizzati su quella rotta. I suoi insegnanti scelti con cura e precisione perché istruissero il futuro abate. Ma il desiderio paterno non aveva fatto i conti con la testardaggine, la fede e la ferma convinzione di colui che per la Chiesa sarebbe diventato il Dottore Angelico, pilastro indiscusso della teologia ma anche raffinato filosofo. Forse il vero punto di incontro tra la cristianità e la filosofia classica.

IL DOTTORE ANGELICO 

IL DOTTORE ANGELICO 

IL DOTTORE ANGELICO 

IL DOTTORE ANGELICO 

IL DOTTORE ANGELICO 

IL DOTTORE ANGELICO 

IL DOTTORE ANGELICO 

IL DOTTORE ANGELICO 

Tommaso rimase chiuso per due anni in quella cella del castello di Monte San Giovanni Campano. Dal 1244 al 1245. Pochi mesi prima era diventato un frate domenicano.

Il castello era della sua famiglia, i conti d’Aquino, che avrebbero voluto vederlo benedettino per poi diventare abate di Montecassino, seguendo le orme di suo zio, che lo era già stato. Potente, forte, influente. Capace con una parola di condizionare intere città. Per Tommaso il futuro era già stato scritto sin da quando era solo un bambino. I suoi studi erano stati indirizzati su quella rotta. I suoi insegnanti scelti con cura e precisione perché istruissero il futuro abate. Ma il desiderio paterno non aveva fatto i conti con la testardaggine, la fede e la ferma convinzione di colui che per la Chiesa sarebbe diventato il Dottore Angelico, pilastro indiscusso della teologia ma anche raffinato filosofo. Forse il vero punto di incontro tra la cristianità e la filosofia classica.

IL DOTTORE ANGELICO 

IL DOTTORE ANGELICO 

IL DOTTORE ANGELICO 

IL DOTTORE ANGELICO 

IL DOTTORE ANGELICO 

IL DOTTORE ANGELICO 

IL DOTTORE ANGELICO 

IL DOTTORE ANGELICO 

San Tommaso d’Aquino. Il teologo della grazia ma anche della scienza, della ragione, degli studi sull’uomo e la morale.

Era lì Tommaso, in una cella in cui scorgeva la campagna incontaminata.

Ne amava i delicati colori della primavera e i più vivaci dell’autunno, così vistosi da strappargli un sorriso mentre rifletteva sulla straordinarietà della natura. Qualche volta si era imbattuto nel candore della neve, gelida ma avvolgente. Silenziosa, quieta, bellissima. L’uomo, la natura, l’arte, la bellezza. In due anni di prigionia Tommaso non aveva mai ceduto. Nemmeno quando in quella cella era entrata lei. Giovane, bella, provocante.

Per i suoi fratelli l’ultima possibilità di veder vacillare quella fede così solida e convinta da apparire irremovibile. Tommaso la cacciò via con un tizzone ardente. Non perché volesse farle male, ma per allontanare dai suoi pensieri ogni tentazione terrena. Poi si addormentò e sembrò un sonno infinito, profondo, in cui due angeli gli vennero in sogno. È in quel preciso istante che Tommaso venne avvolto dal cordone della castità, cosicché non potesse più avere delle tentazioni sessuali e dedicarsi esclusivamente alla teologia.

San Tommaso d’Aquino. Il teologo della grazia ma anche della scienza, della ragione, degli studi sull’uomo e la morale.

Era lì Tommaso, in una cella in cui scorgeva la campagna incontaminata.

Ne amava i delicati colori della primavera e i più vivaci dell’autunno, così vistosi da strappargli un sorriso mentre rifletteva sulla straordinarietà della natura. Qualche volta si era imbattuto nel candore della neve, gelida ma avvolgente. Silenziosa, quieta, bellissima. L’uomo, la natura, l’arte, la bellezza. In due anni di prigionia Tommaso non aveva mai ceduto. Nemmeno quando in quella cella era entrata lei. Giovane, bella, provocante.

Per i suoi fratelli l’ultima possibilità di veder vacillare quella fede così solida e convinta da apparire irremovibile. Tommaso la cacciò via con un tizzone ardente. Non perché volesse farle male, ma per allontanare dai suoi pensieri ogni tentazione terrena. Poi si addormentò e sembrò un sonno infinito, profondo, in cui due angeli gli vennero in sogno. È in quel preciso istante che Tommaso venne avvolto dal cordone della castità, cosicché non potesse più avere delle tentazioni sessuali e dedicarsi esclusivamente alla teologia.

Qualcuno racconta che proprio dopo quell’episodio Tommaso fuggì dalla sua prigione calandosi da una finestra del castello.

Altri che fu invece la famiglia a liberarlo, per volere di quella stessa madre che a tradimento lo aveva fatto catturare dai fratelli. Era l’estate del 1245. In quegli stessi giorni, il 17 luglio, durante il Concilio di Leone, papa Innocenzo IV depose ufficialmente Federico II di Svevia. Dal XVI secolo quella prigione è diventata una cappella e sull’altare un trittico di scuola napoletana ricorda la vita di San Tommaso. Se si chiudono gli occhi, ripensando ai suoi scritti, sembra quasi di sentirlo pregare.

Qualcuno racconta che proprio dopo quell’episodio Tommaso fuggì dalla sua prigione calandosi da una finestra del castello.

Altri che fu invece la famiglia a liberarlo, per volere di quella stessa madre che a tradimento lo aveva fatto catturare dai fratelli. Era l’estate del 1245. In quegli stessi giorni, il 17 luglio, durante il Concilio di Leone, papa Innocenzo IV depose ufficialmente Federico II di Svevia. Dal XVI secolo quella prigione è diventata una cappella e sull’altare un trittico di scuola napoletana ricorda la vita di San Tommaso. Se si chiudono gli occhi, ripensando ai suoi scritti, sembra quasi di sentirlo pregare.